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Liberamente tratto da
di
Riduzione e adattamento a cura di Franz
Regnava tempo fa in Monferrato, un marchese ricco e potente di nome Lamberico: non aveva
figli, ma li desiderava molto. Un giorno la marchesa, sua sposa, se ne andò a passeggiare
nel proprio giardino e, vinta dal sonno, si addormentò ai piedi di un albero. Mentre lei
stava dormendo, una piccola biscia le si accostò e, attorcigliandosi ad una caviglia, se
ne andò sotto i suoi panni, senza che ella sentisse alcuna cosa.
Non passò molto tempo che la marchesa, con non piccolo piacere del marchese, restò
incinta, ma dal parto uscì una bimba con una biscia che le girava al collo per tre volte.
A tale vista le allevatrici si spaventarono molto, ma la biscia, senza alcun offesa, si
snodò dal collo e se ne andò strisciando nel giardino. La bimba venne pulita, abbellita
e avvolta in bianchi panni, ma, a poco a poco, sul suo collo cominciò a intravedersi una
collana d'oro sottilmente lavorata, bella e, tra carne e pelle, trasparente come finissimo
cristallo, tante volte attorno al collo quante lo aveva cinto la biscia.
La fanciulla, a cui per la bellezza fu posto il nome di Biancabella, crebbe in virtù e
splendore.
Divenuta grande, Biancabella si affacciò un giorno al balcone e vide un giardino pieno
di fiori. Subito chiese alla balia che posto fosse. La balia le rispose che quello era il
giardino di sua madre nel quale lei alle volte passeggiava.
- E' la più bella cosa che io abbia mai visto - disse la fanciulla - e vi andrei molto
volentieri -.
Così la balia la portò nel giardino e, postasi sotto un albero a dormire, la lasciò
libera. Biancabella si invaghì di quel luogo e andava di qua e di là a raccogliere
fiori; poi, stanca, si pose all'ombra di un albero. Non si era ancora seduta che una
biscia sopraggiunse e le si accostò. Biancabella si spaventò molto, voleva gridare.
- Non temere! - disse la biscia - non aver paura, perché io ti sono sorella. Io nacqui
assieme a te e mi chiamo Samaritana, e se mi terrai come tua consigliera e obbedirai a
ciò che ti comanderò sarai per sempre felice -.
- Dimmi, che devo fare? - chiese Biancabella.
- Va' e domani fa porre nel giardino due vasi: uno colmo di latte e l'altro pieno di acqua
di rose e aspettami lì da sola -.
Il giorno seguente, Biancabella era in camera con sua madre, che, vedendola piena di
malinconia, le domandò:
- Cos'hai, figliola mia, da essere così triste? -.
Subito lei le chiese quello che le fu comandato dalla biscia.
- E per una cosa così piccola tu ti rammarichi? - disse la madre. - Non sai che qui ogni
cosa è tua? - e ordinò che fossero preparati i due vasi, come aveva chiesto la figlia.
Poi, Biancabella se ne andò da sola nel giardino. Non si era ancora seduta che la biscia
le era già vicino. Subito le ordinò di spogliarsi, di entrare nel vaso pieno di latte e
lì la lavò da capo ai piedi. Dopo averla fatta immergere nell'acqua di rose, le ordinò
di rivestirsi e di non fare parola con nessuno della cosa, e di chiamarla nel caso avesse
dovuto prendere decisioni. Dette queste cose, se ne andò.
Biancabella tornò in casa. E la madre, vedendola ancor più graziosa e bella, le domandò
se le fosse accaduto qualche cosa.
- Non saprei - rispose la fanciulla. La madre, vedendola in disordine, aveva cominciato a
pettinarla, ma ad ogni passata di pettine, perle e gioie preziose cadevano dal capo e, a
lavarle le mani, cascavano rose, viole e ogni sorta di fiori profumati. Tale fu lo stupore
della marchesa, che, per le sue esclamazioni, accorse Lamberico il quale, di fronte a
tanta bellezza e splendore, giudicò non esserci al mondo un uomo degno di sposarla.
La rara e immortale bellezza di Biancabella si era appena risaputa per tutti i regni, che già re, principi e nobili aspiravano alla sua mano. Ma nessuno di loro aveva tanta virtù da poterla conquistare. Finalmente arrivò Ferrandino, re di Napoli, il cui nome risplendeva come il sole tra le stelle, e, recatosi innanzi al marchese, gli domandò la figlia in moglie. Il marchese, vedendolo bello, nobile, ricco e potente, concluse immediatamente le nozze e chiamò la figliola. Al solo vederlo, Biancabella se ne innamorò tanto che dimenticò ogni cosa. E finita la cerimonia, Ferrandino se la portò a Napoli.
Viveva nella reggia napoletana la sua matrigna, con due figlie sozze e brutte; da
sempre la donna aveva desiderato il matrimonio tra il giovane re e una di loro, ma ora,
giunta la sposa, pur fingendo di amarla e di averla in cura, accese in sé tanta ira
contro di lei.
Accadde che il re di Tunisi volle far guerra a Ferrandino, e questi, raccomandata
Biancabella alla matrigna, prese le armi e se ne partì alla testa del suo esercito. Non
passarono molti giorni che la matrigna decise di far morire Biancabella e, chiamati certi
suoi servi, ordinò loro di partire con lei per qualche posto lontano, di ucciderla, e di
portarle un segno della sua morte.
Così, fingendo di scortarla per una passeggiata, i servi condussero Biancabella in un
bosco; già si preparavano ad ucciderla, ma vedendola così bella, ebbero pietà e,
tagliate le mani e cavati gli occhi, come prova della sua morte, se ne andarono
lasciandola lì.
Soddisfatta, la matrigna seminò per tutto il regno la notizia che la sposa, addolorata
dalla partenza del re, si era gravemente ammalata, e che le sue due figlie, contagiate
dallo stesso malanno, non avendo resistito, erano morte; ma lei una la nascose e l'altra
la mise nel letto della regina, a fingere di essere Biancabella.
Sconfitto l'esercito nemico, Ferrandino tornò a casa trionfante e, credendo di trovare la sua diletta sposa ancor più bella e felice, rimase stupefatto nel vederla a letto irriconoscibile, magra e deperita. Non credeva ai suoi occhi e ordinò alle ancelle di pettinarla, e vide che, invece di gemme e gioie preziose, cadevano grossissimi pidocchi. Allora le fece lavar le mani, ma invece di rose e fiori profumati scendeva una lordura e un sudiciume che stomacava chi le stava appresso. E la matrigna lo confortava, dicendogli che questi erano gli effetti di una pronta guarigione.
La povera Biancabella, invece, era ormai da molti giorni nel bosco e chiamava e
richiamava la sorella Samaritana. Nulla. Nessuno le rispondeva se non il risuonare
dell'eco.
E, sentendosi sempre più povera e misera, disse nel proprio intimo: - Che sto a fare io
al mondo, priva degli occhi, delle mani e di una presenza amica? - e, senza più speranza,
colta nell'animo da una violenta disperazione, desiderò la morte e raggiunse il corso
d'acqua, che udiva scorrere poco lontano.
Stava già sulla riva pronta a tuffarsi quando una voce gridò: - No! non farlo! - e
dolcemente aggiunse. - Riserva la tua vita a un fine migliore -.
A Biancabella parve di conoscere quella voce e chiese: - Chi sei tu che te ne vai per
questi luoghi sperduti? -.
- Io sono - rispose la voce - Samaritana, tua sorella, che hai chiamato tanto
insistentemente -.
Subito Biancabella l'interruppe: - Ah! sorella mia, aiutami ti prego e, se non ho seguito
il tuo consiglio, ti chiedo perdono, poiché è stato il travolgente amore per Ferrandino
a far sì che mi dimenticassi dell'obbedienza che ti promisi! -.
Di fronte a tanta sincerità e vedendola così disgraziatamente ridotta, Samaritana ebbe
compassione e poggiando esili fronde di bosco sui moncherini, spalmati di erbe virtuose,
ecco che fece ricomparire le mani, e ponendo nelle cavità, assieme alle meravigliose
erbe, due boccioli, ecco che fece scintillare due splendidi occhi. Biancabella vide di
nuovo e, piena di sorpresa, si trovò innanzi una bellissima giovane: era Samaritana che
aveva deposta la pelle di biscia.
Felici di essersi ritrovate, le giovani passarono molto tempo assieme per i boschi.
Biancabella raccontò la sua storia alla sorella, la quale le promise che presto si
sarebbe ricongiunta al suo sposo. Una sera giunsero a Napoli. Nella città del vulcano, le
due giovani presero alloggio nel palazzo di fronte alla reggia, che da tempo era
disabitato.
La mattina seguente il re si affacciò, come di consueto, alla finestra e, vedendo il
palazzo di fronte lustro e splendente come non mai, e con tutte le finestre aperte, rimase
stupefatto e non poco incuriosito. Chiese allora alla moglie e alla matrigna se qualche
nobile forestiero lo avesse preso a dimora, ma le donne non seppero rispondere. Già da
qualche ora Ferrandino stava a contemplare il palazzo, quando scorse in una camera due
giovani che per bellezza facevano invidia al sole.
Gli venne un irresistibile desiderio di conoscerle e le chiamò: - Ehi! gentili damigelle,
lo sapete che abitate nel più bel palazzo della città? -.
- Dopo il vostro, sire - precisarono le giovani-.
- No, vi sbagliate, poiché da quando è da voi abitato è diventato il primo -.
Esse sorrisero e il re riprese: - Io lo ricordo bene, ma chissà quanto è bello ora -. Le
giovani non si lasciarono sfuggire l'occasione e invitarono il re a visitare il palazzo.
Biancabella e Samaritana mostrarono a Ferrandino le sale spaziose e ben ornate, le
ampie logge e le grandi scalinate del palazzo. Giunti però al giardino, Samaritana trovò
una scusa e lasciò i due sposi proseguire tra siepi e gran varietà di piante e di fiori.
Ferrandino raccontava, appassionato, le sue imprese guerresche e di caccia. Biancabella
ascoltava intensamente o rideva per i fatti buffi e bizzarri, e sospirava sapendo che lì
c'era il suo amato sposo, ma che con il pensiero lui era lontano.
Ad un tratto, Ferrandino ricordò la sua sposa, e raccontò come una volta risplendesse
bella e meravigliosa, ma che, al proprio ritorno da una guerra, la avesse trovata grigia e
imbruttita. Poi ricordò quando appena sposati lei amava girare per i giardini a
raccogliere rose e, intristito da tal memoria, reclinò il capo e vide per terra
un'abbondanza di fiori. Biancabella stava piangendo e dalle sue mani bagnate di lacrime
cadevano rose e viole.
Ferrandino rimase esterrefatto, non credeva ai suoi occhi. Subito Biancabella si presentò
e narrò della matrigna e delle sue malvagità e quante ne avesse subite. Allora lui
passò le mani tra i suoi capelli da cui caddero le gioie, vide la sottile collana d'oro,
che tra carne e pelle traspariva come cristallo, e, piangendo, teneramente la baciò.
Lo stesso giorno ci fu un gran pranzo e grandi festeggiamenti a cui fu invitata la città
intera. Mancavano solo la matrigna e le sue due figlie, poiché aspettavano di essere
infornate nella bocca del vulcano.
(Tratta da "Il Giornalino - Primo Conto" della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza)