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di
Mustafà, era nato in un paese molto lontano, più o meno sotto il tacco dell'Italia. A
scuola, quando era piccolo, gli avevano insegnato la storia: quella gloriosa del suo paese
e quella dell'antica Roma.
Dopo le lezioni tornava a casa, pranzava e nel pomeriggio, dopo i compiti, andava a
pascolare le pecore del padre che, per guadagnare qualche soldo in più, lavorava anche
come muratore.
Mustafà, andava così in un'oasi nel deserto e se ne stava lì a fantasticare sulla Roma
antica. S'immaginava le bellissime case, i templi, i corsi d'acqua trasparente. Stava lì,
ore ed ore, a badare alle sue pecore, anche più del necessario. Poi verso sera sentiva la
voce della mamma che diceva: "Mustafà, è ora della preghiera. Sbrigati!". Lui
quasi sempre obbediva, qualche volta, invece, tardava e passeggiava al tramonto.
Alla sera poi, dopo cena, non andava fuori con i suoi amici a giocare perché era talmente
stanco che si addormantava subito. Passò così la sua infanzia di scolaro pastore.
Un giorno disse ai suoi genitori: "Mamma, Papà, voglio andare nel paese dei templi e
dei palazzi, degli uomini dalle lunghe toghe". I suoi genitori accettarono
tristemente e lo lasciarono andare anche se era anche molto giovane. Erano poveri, avevano
solo le pecore, ma gli regalarono un mantello appartenuto ai suoi avi, con la
raccomandazione di non perderlo mai: "Vai, ragazzo mio!" disse sua madre
piangendo "Saremo sempre qui ad aspettarti".
Così Mustafà salì su un battello e partì. Una volta arrivato in Italia però, fu
molto deluso: i templi e i palazzi bianchi non c'erano più e la ricchezza, se c'era, era
per pochi. Si mise a cercare lavoro, ma non ne trovò, così scelse un semaforo e iniziò
a lavare i vetri delle macchine che aspettavano il verde, come facevano altri ragazzi come
lui.
Mustafà aveva un viso simpatico e un bel sorriso. Alle volte lavava i vetri senza
chiedere nulla, perchè per quel giorno le poche lire che aveva raccolto gli bastavano per
comperarsi qualche cosa da mangiare. Alla sera, poi, andava a dormire alla stazione.
Un giorno d'autunno, vedendo le foglie cadere dagli alberi, Mustafa ripensò con
nostalgia, al sole del suo paese e al verde dell'oasi dove pascolava le pecore, così si
sentì solo e triste. Prese il suo mantello, lo stese sul gradino di un negozio e si mise
seduto a pensare.
Di tanto in tanto si voltava a guardare la vetrina del negozio, chiuso per turno.
Mentre era lì malinconico passò una macchina. Sopra c'era un bambino con la sua mamma.
"Mamma, guarda quel ragazzino!" "Lascia perdere, Marco, non abbiamo bisogno
di lavare il vetro." "Mamma, ma guarda che non ci sta chiedendo niente, guarda
come osserva quella vetrina!" Marco era rimasto colpito dallo sguardo dello
straniero. Al suo ritorno a casa, prese parte dei risparmi dal salvadanaio, e disse alla
mamma: "Mamma, esco un attimo, mi sono dimenticato una cosa, poi mi fermo giù con i
miei amici!". Così uscì.
Cominciava ad imbrunire e il sole rosso fuoco si abbassava lentamente all'orizzonte dietro
i tetti disordinati delle case. Marco camminava per i vicoli ripensando a quel ragazzo.
Arrivò così al semaforo. Mustafà era ancora là, seduto sul gradino del negozio...
"Ehi, mi chiamo Marco e tu?"
Mustafà, si alzò sorpreso, senza dire nulla.
"Volevo darti questi" e gli porse i soldi "così potrai fare un bel
pasto..."
"No, grazie" - disse Mustafà.
Marco rimase senza parole, all'inizio non capì, ma poi si rese conto dal suo sguardo che
era triste perchè lontano da casa. I due ragazzi si guardarono negli occhi, poi Mustafà
disse: "Mi chiamo Mustafa". "Perchè sei venuto in Italia?" disse
Marco. "Perchè credevo di trovare il paese che avevo studiato sui libri di scuola,
perchè credevo di trovare un lavoro".
"Ma tu hai studiato la storia dell'antica Roma!"
I due si sedettero sul mantello che Mustafà aveva steso su una aiuola, vicino al
semforo, ed iniziarono a parlarsi. Marco ricordava a Mustafa la storia dell'Italia, e
Mustafà a Marco le bellissime fiabe che suo nonno gli raccontava da piccolo sotto il
cielo stellato del deserto: storie di principesse, pascià, cammelli parlanti e magiche
lampade.
Ad un certo punto si guardarono attorno. Gli arbusti dell'aiuola, la strada e le macchine
non c'erano più. I due rimasero esterrefatti, poi diedero uno sguardo più preciso:
videro tetti di moschee che cominciavano a riflettere il colore rosso intenso del sole al
tramonto. "Ma cosa succede?" disse Marco "Ma ...stiamo volando!"
"E' il mio mantello!" rispose Mustafà. Ad un tratto, riconobbe il suo paese, la
casa dove vivevano i suoi genitori, il suo gregge di pecore, la strada che portava
all'oasi nel deserto.
I due ragazzi non riuscirono a dire nulla, rapiti da questa magia e si strinsero l'un
l'altro. Il mantello volteggiava leggero come una farfalla, sembrava essere felice anche
lui. Ad un certo punto la velocità aumentò, poi rallentò di colpo, iniziando in discesa
verso l'Oasi.
"Mustafà, ma dove siamo?" disse Marco.
"Siamo nel mio paese" disse Mustafà, ed una lacrima gli scese lentamente dagli
occhi. Arrivati a terra, stettero un attimo a contemplare il paesaggio, poi Mustafa si
allontanò un attimo, preso dai suoi ricordi e si diresse verso un albero di datteri,
prendendone qualcuno. Marco rimase senza parole, incantato a vedere il colore ocra delle
dune che si fondeva con il blu intenso del cielo, macchiato qua e là dalle luci delle
stelle. Il silenzio avvolgeva ogni cosa. L'aria fredda delle notti desertiche cominciava a
farsi sentire, così i due ragazzi si sedettero e, avvolti nel mantello, si addormentarono
abbracciati.
Si risvegliarono al rumore di un clacson.
"Ma dove siamo?" disse Marco e Mustafà rispose: "Ho fatto un bel sogno:
c'eri anche tu ed eravamo volati nel mio paese con il mantello". "Ma anch'io ho
fatto lo stesso sogno!"
Rimasero lì qualche minuto, come chi si risveglia dopo un lungo e profondo sonno. Poi si
guardarono negli occhi. Mustafà aprì il palmo delle mani e disse: "Ma...un momento
e questi datteri freschi da dove vengono?" "Non saprei..." rispose Marco.
"Guarda, sotto le mie scarpe c'è ancora un po' di sabbia del deserto".
I due ragazzi sorrisero felici senza più dire nulla e si abbracciarono come due fratelli.
E il mantello? Tornò ad essere un semplice pezzo di stoffa e Mustafà lo tenne per sempre
con sè.
(Tratta da "Il Giornalino - Primo Conto" della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza)