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Il pane di Ratzburg

di

Cris


A causa di una brutta carestia, nel paese di Ratzburg erano tutti poveri. Le madri non sapevano cosa dare da mangiare ai loro figli e sulle povere tavole alle volte ci si doveva dividere in cinque una pagnotta. I padri di famiglia si svegliavano presto per cercare di coltivare la terra che, ahimè, non dava frutto. Nel paese regnava la miseria più nera ed erano tutti tristi... tranne, però, nel vecchio mulino.
Egli era un uomo grasso e ricco, che aveva nei suoi magazzini tanta farina e tanto ben di Dio da sfamare tutto il paese per almeno cent’anni. Ebbene, questo fornaio era talmente avido e perfido che, ogni volta che scoccava il mezzogiorno, si metteva sulla terrazza della sua bella casa nella piazza del paese, e mangiava, mangiava a più non posso, sotto gli occhi dei poveri abitanti.
- Mhh, che buona questa torta e questo pollo arrosto...ah, adesso vado a fare un bel riposino. -
I bambini se ne stavano incantati a guardare il fornaio mentre mangiava, poi salivano sul terrazzo per vedere se era avanzato qualche cosa. Niente, finiva sempre tutto. Ogni sera si ripeteva il triste spettacolo e, sempre ogni sera, i paesani si riunivano nella chiesetta e, assieme al reverendo pregavano il buon Dio che in qualche modo li aiutasse. Passavano i giorni, ma non succedeva nulla, non pioveva e non cresceva niente. E il fornaio ingrassava sempre più.
Un giorno, all’uscita dalla chiesa, i paesani videro sulla piazza un ometto piccolo piccolo con un vestito tutto rattoppato e una bella faccia sorridente.
- E tu chi sei? - dissero alcuni.
- Sono venuto qui per aiutarvi -
- Ma, se ci aiuti, in cambio cosa vuoi?-
- Voi andate pure nelle vostre case e aspettate domani mattina -
Ormai allo stremo delle forze, i poveri paesani, non avevano altra scelta, andarono nelle loro case e si misero a letto.
Quella notte l’ometto si avvicinò alla casa del fornaio che, dopo la sua mangiata quotidiana, dormiva della grossa. Faceva un gran caldo e il grassone russava mandido di sudore.
Piccolo com'era, l'ometto scivolò giù per il camino, entrò in casa dove prese le chiavi del mulino. Raggiunta la grande dispensa, iniziò a rompere tutti i sacchi di farina, i sacchetti di sale e le scatole di lievito, spalancò le finestre e uscì.
Quella notte iniziò a piovere, pioveva, pioveva a più non posso. L’acqua, per il forte vento entrò dalle finestre nel mulino dapprima battendo sul davanzale, poi formando lungo i muri dei rigagnoli che, una volta riunitisi ai piedi delle macine, al centro della stanza, formarono una grossa pozzanghera. L'acqua, poi, arrivò fino alla farina che si unì al sale e al lievito. Il vento intanto cominciò a far girare le pale del mulino, azionò le macine che, come grosse mani, impastarono tutta la farina. L’impasto con il passare del tempo cresceva e crebbe al punto da sfondare i muri. Alla mattina presto smise di piovere e cominciò a battere forte il sole.
Al loro risveglio gli abitanti del paese non credevano ai loro occhi: al posto del mulino c’era una gigantesca pagnotta profumata.
Presi dalla fame, i paesani si misero a riempire del pane miracoloso tutto quello che capitava loro sotto mano, poi, finita la pagnotta, svaligiarono completamente il magazzino del fornaio.
Il fornaio, per il gran trambusto, nel frattempo si era svegliato e se ne stette a bocca aperta, immobile a vedere la scena non sapendo cosa fare. Dopodiché distrutto dal dispiacere e dalla vergogna, pronunciando frasi insensate, si diresse verso il fiume e di lui non si seppe più nulla.

(Tratta da "Il Giornalino - Primo Conto" della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza)


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