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IL CONIGLIETTO NEL MIO LETTO

di

Elena

 

C’era una volta un coniglietto molto giovane e goloso di carote: per questa ragione si chiamava Carotino.

Carotino viveva con i suoi genitori e i suoi fratellini (erano tanti: sei coniglietti maschi e sei conigliette femmine) in una comodissima tana in mezzo a una campagna piena di colori. L’erba dei prati era a volte di color verde smeraldo, altre di un verde più tenero che faceva ricordare giornate di festa piene di gioia. Le corolle dei fiori punteggiavano i prati di mille colori sgargianti e di forme infinite.
Le foglie sui rami degli alberi erano più scure, e sembravano a Carotino quasi il tetto di una casa accogliente e rassicurante, di quelle dove vivono i cuccioli degli uomini, come nei racconti che faceva la sua mamma la sera quando si metteva accanto a lui e ai suoi fratellini e, per farli addormentare, narrava loro cento storie strane e affascinanti.
Di mille colori che mutavano continuamente durante la giornata era la pozzanghera dove la famiglia di Carotino andava a bere e che serviva anche da specchio per assicurarsi che tutti, piccoli e grandi, fossero in ordine pri! ma delle grandi occasioni.

Carotino viveva allegro e birichino in mezzo a tutti i suoi fratelli. Era anche un coniglietto molto curioso e audace. Gli piaceva andare ogni giorno un po’ più lontano nelle sue scorribande, sperando sempre di fare qualche scoperta che lo avrebbe riempito di stupore e della quale vantarsi con i suoi fratelli e le sue sorelle.
La mamma lo rimproverava e cercava di metterlo in guardia dai pericoli che poteva incontrare. Carotino lì per lì sentiva le parole della mamma, ma non se ne dava per inteso. Seguiva la sua curiosità, che era rimasta colpita da un particolare strano. Allora si infilava dietro ai muretti diroccati, in mezzo agli arbusti intricati, nelle buche più buie e misteriose... fino a quando qualcosa di inspettato - un fruscio, un’ombra - lo spaventava e all’improvviso capiva il significato delle parole d’avvertimento ascoltate poco prima dalla bocca della mamma. Il suo cuoricino cominciava a battere come un tamburo impazzito. Allora si girava e con le sue zampette veloci scappava verso casa.

Gli bastava vedere da lontano la figura dei genitori per tranquillizzarsi e tornare ai suoi giochi, a fare scoperte o a dar fastidio ai fratellini raccontando loro le sue avventure, esagerandole e trasformandole finchè loro non ci credevano più e cominciavano a far capriole o a giocare a nascondino.

Un giorno (le solite parole della mamma erano ancora nelle orecchie senza essere riuscite a scendere fino al cuore) Carotino si mise a percorrere un attraente viottolo che presentava tante sorprese ad ogni svolta. Erano però sorprese simpatiche e gentili (qualche fiorellino dalla forma mai vista, una bestiola con la sua casetta arrotolata sulla schiena, una bacca di uno strano color azzurro) cosicchè per un lungo tratto di strada il coniglietto non provò qualche salutare spavento che gli consigliasse di tornare a rifugiarsi vicino ai genitori. Quando si accorse che la luce del cielo si stava scurendo, finalmente si guardò indietro e capì di essersi smarrito.

Carotino era un coniglietto un po’ sventatello, però non era sciocco e stavolta si rese conto che le cose non erano tanto semplici. Passati i primi momenti nei quali il cuoricino gli suonò una scolvolgente sinfonia per tamburi e nacchere, capì che il problema era serio, e che poteva contare solo sulla sua iniziativa per uscirne fuori. Dopo aver rivolto un pensiero accorato ai suoi genitori e ai fratellini che certamente a quell’ora lo stavano cercando preoccupati, cominciò ad esplorare con decisione il nuovo mondo in cui si trovava, fiutando col suo sensibile nasino e cercando di riconoscere i vecchi odori e di imparare i nuovi.

Il viottolo su cui si era avventurato era diventato più largo ed era ricoperto da uno strato di materiale grigio scuro dall’odore strano, mai incontrato prima in campagna. Mentre Carotino cercava con impegno di capire quell’odore, da dietro gli si avvicinò, ruggendo, un’automobile che lo spaventò a morte e gli strappò qualche pelo della pelliccia. Carotino salì sul marciapiede, dove si sentì per qualche momento al sicuro, ma subito si accorse che anche lì doveva stare attento, perché era pieno di esseri umani che camminavano in fretta, qualche bambino con la bicicletta, qualcuno addirittura accompagnato da un cane, per fortuna legato.

Carotino, confuso e parecchio spaventato, anche se ben deciso a non farsi prendere dal panico, ad un certo punto vide una grande apertura scura, che gli ricordava un po’ le tane che in passato aveva esplorato in campagna, ma molto più grande. Era buio e non si vedeva dove finisse, ma il coniglietto la raggiunse correndo. All’interno non si vedeva quasi nulla, ma era pieno di buoni odori: di grano, di carote, di frutta...
Decise di continuare l’esplorazione, anche perché non sapeva dove altro andare, e cominciò a salire, senza saperlo, le scale di un palazzo. Passò davanti a molte porte chiuse, dalle quali uscivano soffocati dei rumori nuovi ma attraenti: tintinnii, sciacquettii, mormorii, un singhiozzo, una risata, un tonfo, un ronzio, un colpo... Carotino capiva di trovarsi in un posto pieno di vita, ma era una vita molto differente da quella della campagna che lui conosceva. Ad un certo momento intravvide una fessura in una di quelle porte, e ci si affacciò con la punta del ! nasino prima, poi piano piano, con cautela, entrò dentro.

Lì tutto era tranquillo e silenzioso. Da una stanza lontana arrivavano molti dei rumori che aveva udito salendo le scale, ma più vicino si aprivano varie porte, e tutte sembravano affacciarsi su stanze disabitate. Il coniglietto si avvicinò ad una porta da cui usciva una luce debole e soffusa. Si affacciò a quella stanza e... oh! meraviglia, per un momento pensò di essersi svegliato da un brutto sogno. Davanti a lui c’era una collina con un paesaggio che somigliava tanto a quello familiare della sua campagna, pieno di colori e di forme, qua una foglia, là una coccinella, poco lontano due farfalle che si rincorrevano, più sotto un bruco camminava sulla pancia, accanto tanti fiori, lontano, nel cielo azzurro, allegre nuvole bianche che ruzzolavano.

Carotino si sentì felice e in salvo. Si avvicinò per annusare gli odori a lui noti ma, stranamente, non ne riconobbe nemmeno uno. Gli sembrava anzi che ci fosse un unico, leggero odore. Non lo conosceva, ma senza un perché gli faceva venire in mente un cucciolo degli uomini.

Mentre ascoltava il suo cuore aspettando che gli suggerisse la soluzione di quell’enigma, ecco avvicinarsi dei rumori minacciosi: stropiccii di piedi e voci umane. Che fare? L’istinto lo spinse a ricorrere alla soluzione dei suoi giochi abituali: si cacciò in un anfratto del terreno, e si ritrovò immerso nella penombra di un paesaggio candido che però non era neve, anzi era morbido e tiepido. Lì l’odore che aveva sentito poco prima aumentava e diventava più aromatico ed avvolgente, ma il povero Carotino era tanto spaventato da quello che stava per succedere che pensò solo a rifugiarsi nell’angolo più nascosto e tranquillo... del mio lettino.

Quando io mi infilai sotto le coperte, non mi accorsi di quel nuovo compagno. Mentre davo il bacio della buona notte alla mamma che mi stava rimboccando il piumone stampato a disegni campagnoli, caddi subito addormentato e solo nel cuore della notte, dopo alcune ore, mi sentii svegliare da un leggero solletico fra il collo e l’orecchio.
Girai poco poco la testa e vidi subito quel simpatico muso di coniglietto. Carotino scattò un po’ all’indietro, ma non sembrava tanto spaventato. Dopo esserci annusati, toccati e accarezzati per un po’, diventammo grandi amici. Mi raccontò tutta questa storia, e dato che ormai non avrebbe più saputo ritrovare la strada di casa, decidemmo che sarebbe rimasto con me: tutti pensano che sia un pelouche, ma in realtà io ogni giorno, quando torno da scuola, gli porto da mangiare tante carote come piacciono a lui. Quando vado in gita o a passeggio lo porto sempre con me, affinchè possa ritrovare i suoi vecchi odori e rivedere i suoi vecchi paesaggi.
Carotino la sera mi racconta cento storie della sua campagna, dei fiori e degli insetti, e di tutto quello che succede nei nascondigli che lui solo conosce. Poi ci addormentiamo abbracciati insieme stretti stretti.

Chi entra nella mia stanza vede Carotino e mi dice: "Che bel pelouche che hai! Sembra proprio un coniglietto vero". Carotino resta fermo fermo, solo gira gli occhi verso di me che sorrido e ci facciamo un occhiolino d’intesa.


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