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Mi hanno raccontato di un paese lontano, o forse vicino, non ricordo, ove ogni cosa
(abitanti ed oggetti) era rotonda. Rotonde le case, le teste, i piedi, le porte e le
finestre.
La gente rotolava allegramente: c'erano cerchi grandi, piccoli, rossi, verdi, un po'
storti, con qualche ammaccatura...
Un giorno, in questo villaggio arrivò un viaggiatore. Era già capitato e non vi era
niente di strano, se non, e non era poco, che questo viaggiatore era quadrato. A
"quadrato" quel paese senza spigoli sembrò strano ma gli piacque e decise di
fermarsi.
Ai rotondi capitò una cosa curiosa. Prima dell'arrivo di quadrato gli sembrava di essere
così diversi fra loro, ma da quando c'era lui si erano resi conto di essere proprio
simili.
Quadrato si accorse subito che qualsiasi cosa facesse, ovunque andasse, tutti lo
guardavano; tutti quegli occhi addosso lo innervosivano, si sentiva continuamente come un
equilibrista sul filo, e più cercava di stare attento, più gli capitava di combinare
guai. Anche se, per la verità, anche ai rotondi capitava di sbagliare, ma quando lo
faceva lui, sembrava più grave.
Quadrato stava malissimo quando sentiva bisbigliare alle sue spalle "tutti i quadrati
sono maldestri e rovinano le cose. Per forza, con quei loro spigoli aguzzi!" Certo
che non era facile avere una forma quadrata in mezzo a tutti quei cerchi. Persino le porte
erano un problema.
Stufo di stare da solo cercò di conoscere alcuni abitanti e pensò che il modo
migliore per farsi accettare fosse di dimostrare quante cose sapesse fare. Cercò di fare
tutto più in fretta e meglio dei cerchi: lavorare, essere gentile, organizzare feste,
raccontare barzellette... Ma non andò molto meglio. Era stanco ed i rotondi continuavano
a comportanrsi in modo strano, diverso quando c'era lui.
Pensò allora di farsi notare di meno, di cercare di essere il più possibile simile a
loro: si arricciò i capelli, si mise grossi vestiti che nascondessero gli spigoli,
riempì di cotone le scarpe e cercò persino di parlare con accento rotondo. Ma nemmeno
questo funzionò. Quadrato si sentiva ridicolo e i cerchi sembravano infastiditi dal suo
tentativo di imitarli.
Finalmente gli sembrò di capire. Forse sbagliava a voler tentare di diventare amico di tutti subito. Forse il segreto era quello di cercarsi un unico cerchio amico che poi lo avvicinasse agli altri. Aiutò un cerchio che aveva conosciuto ad imbiancare la casa, gli tenne compagnia quando era solo, lo aiutò nel lavoro, sfruttò per lui i suoi spigoli quando servivano... E le cose effettivamente migliorarono un pochino. Ogni tanto cerchio portava quadrato a qualche festa , o lo ringraziava per il suo aiuto. Ma quadrato non era fellice, la loro non si poteva chiamare amicizia, si sentiva più aiutante (ogni tanto addirittura servo) che amico e soprattutto si era accorto che gli altri lo ascoltavano di più e ridevano delle sue battute se parlava male degli altri quadrati, se li prendeva in giro come facevano loro all'inizio con lui, se confermava che tutti i quadrati sono rozzi, goffi e violenti, che rubano i bambini rotondi, che tolgono i posti di lavoro ai cerchi, che sono pigri e pettegoli...
Una mattina quadrato si alzò più triste e stanco del solito e decise di andarsene.
Mentre attraversava il paese con il suo zaino si accorse che, fra i tanti sguardi che lo
accompagnavano, alcuni sembravano dispiaciuti, imbarazzati, come lui: sembravano non
trovare il coraggio o le parole da dirgli. Anche a lui non veniva in mente nulla. Così
tirò avanti verso il suo paese. Il solo dispiacere che gli restava era di non aver
incontrato prima quegli sguardi incerti ed aver parlato con loro, aver provato a
raccontargli come si sentiva ed avergli chiesto cosa provavano loro.