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IL PANINO CHE NON VOLEVA ESSERE MANGIATO

di

Loredana Limone

 

Questa è la storia di un panino che non voleva essere mangiato e di un bambino che diventò il suo migliore amico.

C’era una volta un bambino di nome Teo. Quando Teo tornava a casa dalla scuola era sempre molto affamato. Purtroppo, poiché la sua mamma lavorava e rincasava solo dieci minuti prima di lui, Teo non trovava mai il pranzo pronto. Così ogni giorno si ripeteva la stessa scena:
“Ciao, mamma.”
“Ciao, amore.”
“Ho fame. E’ pronto?”
“Quasi. Manca solo un attimo. Com’è andata a scuola?”
“Bene. Ho fame.”
“Ancora un attimo. Va’ a lavarti le mani intanto.”
Teo andava in bagno e poi tornava in cucina con le mani pulite.
“Lavate. E’ pronto?”
“Ancora un attimo.”
“Ho fame!!”
“Immagino. Ancora un attimo. Com’è andata a scuola?”
“Bene. Posso mangiare un pezzo di pane intanto?”
“No, per favore. Aspetta un attimo ancora.”
In realtà passavano solo pochi minuti da quando Teo entrava in casa a quando la mamma gli metteva davanti un piattone di pastasciutta fumante, ma, poiché era sempre molto affamato, quei pochi minuti gli sembravano un’eternità.

Il giorno in cui ebbe inizio questa storia, però, le cose andarono diversamente. La mamma era arrivata in ritardo e Teo l’aveva aspettata seduto sui gradini. Che fame! Si sarebbe mangiato le mani come faceva quando era piccolo: glielo aveva raccontato la mamma che, quando era ancora neonato e cominciava ad aver fame, chiudeva le mani a pugno e se le metteva in bocca; poi vedendo che non usciva niente, scoppiava a piangere.
“Ciao, Teo, scusami” disse la mamma arrivando trafelata “ci sono i lavori in corso ed hanno chiuso una strada. Ho dovuto fare un giro pazzesco. Mi dispiace. Ora ti preparo qualcosa velocemente.”
Ma poiché “velocemente” non era abbastanza veloce per la fame di Teo, la mamma gli permise di mangiare qualcosa nell’attesa e mise sulla tavola apparecchiata alla bell’e meglio il cestino con il pane. Teo guardò i tre panini e scelse quello più grosso. Lo prese e fece per addentarlo, ma gli scivolò dalle mani e cadde sul tavolo. Lo prese ancora e gli cadde di nuovo. Poi lo vide muoversi e nascondersi dietro al bicchiere.
Teo spalancò gli occhi e si diede un pizzicotto per verificare che non stesse sognando. Avuta la conferma di essere sveglio, pensò ad una svista perché i panini non camminano: forse era solo rotolato fino al bicchiere. Allungò la mano e prese di nuovo il panino, ma questi balzò ancora sul tavolo e si nascose sotto il tovagliolo.
Sbalordito, Teo scostò con delicatezza il tovagliolo e vide due occhietti impauriti che chiedevano pietà. “Per favore non mangiarmi” dicevano silenziosamente. Teo stava per chiamare la mamma, ma si fermò. Guardò il panino tremolante e lo prese nel palmo della mano. Il panino si mise il dito sul naso e gli fece cenno di tacere.
Teo era sempre più sbalordito. Si alzò e si avviò verso la sua camera.
“Dove vai?” gli domandò la mamma “E’ pronto!”
“Vado un attimo in camera mia. Vengo subito.”
La mamma era meravigliata che Teo non si lamentasse per la fame come faceva di solito, ma era anche contenta che non le mettesse fretta. Il bambino portò il panino in camera sua e lo nascose. “Resta qui” gli disse “Devo andare a mangiare, ma dopo mi dovrai spiegare tutto!”
“Eccomi, mamma. Cosa c’è di buono?” domandò Teo tornando in cucina.
“Purtroppo non ho potuto fare altro che due uova al tegamino. Mi dispiace!”
“Vanno bene! Ho una fame da lupo!”
“Davvero? Credevo che non avessi appetito oggi.”
“Perché?”
“Non ti sei lamentato nemmeno una volta!”
“Ma certo che ho fame!”
“Oh, hai mangiato un panino intero! Ecco perché?”
“No, non ho preso ni… Eh, sì non ce la facevo più ed ho mangiato il panino più grosso.”
“Be’, per oggi non fa niente. Il pranzo è così arrangiato...”
Teo mangiò più in fretta del solito e non aveva voglia di rispondere alle domande della mamma.
“Allora, questa verifica d’inglese?”
“Bene, mamma. E’ andata bene.”
“Bravo, stasera la guardo. Il papà ed io stavamo pensando di fare un viaggio a Londra per Pasqua. Ti piacerebbe?”
“Sì.” rispose Teo un po’ distrattamente perché in realtà ciò che gli sarebbe piaciuto in quel momento era di andare nella sua camera per capire il mistero di quel fantastico panino. “Se riesco, dopo l’ufficio passo a prendere qualche catalogo. Bisogna prenotare, non è che ci sia tantissimo tempo.”
La mamma continuava a parlare e Teo riusciva a stento a concentrarsi su ciò che diceva mentre con la coda dell’occhio guardava la sua camera. Finalmente suonò il campanello.
“Ecco la Tata!” disse Teo.
“E’ già ora? Caspita!” esclamò la mamma mentre andava ad aprire la porta.
“Buongiorno a tutti.” disse la Tata entrando.
“Ciao Tata.” disse Teo.
“Ciao Tata.” disse la mamma infilando il cappotto, “Io vado. Ciao Teo.”
La Tata andava ogni pomeriggio a casa di Teo e restava con lui fino al ritorno della mamma.
“Ciao mamma. A stasera.”
“Ha molti compiti da fare Teo?” chiese la Tata.
“Non lo so.“ rispose la mamma “Non ho avuto il tempo di controllare. Ma c’è tutto il pomeriggio perché non credo che possiate uscire: sta arrivando il temporale!”
“Sì” confermò la Tata “infatti pioviggina già.”
“Be’, io vado.” disse la mamma ed uscì.
“Hai molti compiti da fare, Teo?” domandò la Tata.
“Un po’, ma non sono difficili. Posso fare da solo. E dopo tu mi interroghi.”
“Va bene, allora io vado di là a stirare.”
Finalmente solo, Teo andò in camera sua e chiuse la porta. Oramai la curiosità gli era salita fin sopra le punte dei capelli e … doveva sapere! Teo aveva nascosto il panino sul davanzale della finestra dietro la tendina, ma non lo trovò più.
“Sono qui.” sentì dire: il panino era saltato su una mensola a fianco della finestra ed era sdraiato sopra i libri di Teo.
“Cosa fai lì?” “Mi hai lasciato su un marmo freddo vicino ad una fessura da cui entrava uno spiffero gelido. Non voglio essere mangiato, ma non voglio nemmeno prendere una bronchite!” protestò il panino.
“Oh, come sei complicato!” disse Teo “Mi vuoi finalmente spiegare chi sei?”
“E’ molto semplice: sono un panino.”
“Questo lo vedo. Ma non credi di essere un po’ diverso dagli altri panini?”
“Certo, io sono un panino con … il cuore.”
“Come?”
“Sì, aspetta che ti racconto la mia storia. Sono nato in un panificio industriale molto grande dove ci sono tante macchine giganti che fanno il pane.”
“Le macchine? Ma non ci sono i panettieri?”
“Sì, ci sono, ma non sono loro a fare il pane. Ora ti spiego. Nelle industrie gli uomini controllano il lavoro fatto dalle macchine, ma non sono loro a farlo come puoi immaginare. Gli uomini impostano il funzionamento delle macchine con dei computer e poi, come ti ho detto, controllano che le macchine funzionino bene. Nella fabbrica dove sono stato fabbricato io funziona così: un omino chiamato impastatore mette in un mastello la farina, l’acqua, il sale e il lievito …”
“Cos’è un mastello?”
“E’ come un secchiello da spiaggia, ma molto grande.”
“Grande così?” domandò Teo allargando le braccia.
“Sì, più o meno così, ma molto più alto. Poi questo mastello va inserito in una macchina chiamata impastatrice che ha delle lame che girano e che mescolano gli ingredienti fino ad ottenere una pasta morbida.”
“Come quella che fa la mia nonna Tina quando prepara la pizza?”
“Sì, penso proprio di sì.”
“Però la mia nonna la fa a mano, non la mette in nessuna macchina.”
“Perché ne fa poca.”
“Eh, no perché è brava. Invece la mamma quando fa la torta, anche se è poca, la fa nell’impastatrice.”
“Vuoi dire nel robot da cucina.”
“Sì, anche lei lo chiama robot. Però potrebbe farla a mano.”
“Forse fa così per fare più presto.”
“Hai ragione, lei non ha mai tempo per niente!”
“Però la torta la fa!”
“Ogni tanto!”
“Meglio di niente! Ma mi hai fatto perdere il filo del discorso. Dove ero arrivato?”
“Alla pasta morbida come quella di mia nonna.”
“Sì, sì, ma non interrompermi di nuovo! Allora dicevo: la pasta entra in un grande macchinario dove viene spezzata e trasformata in palline e qui ci sono altri omini che controllano che le palline non si attacchino tra loro. Poi queste palline vengono spinte su una specie di amache dove riposano e, riposando, lievitano. Intanto le palline prendono forma e diventano panini. Scendono dalle amache e vanno su un nastro trasportatore.”
“Cos’è?”
“Te lo stavo per dire: è come una scala mobile, ma non sale o scende, va diritto e fa avanzare i panini senza farli stancare. Sei mai stato su una scala mobile?”
“Caspita! Un sacco di volte. E poi che succede?”
“E poi il nastro li trasporta fino al forno. Nel forno c’è un bel calduccio e i panini cuocendosi fanno una croccante crosta dorata e una mollica soffice.”
“Mmm… Che bontà!”
“Ti piace il pane, vero?”
“Tantissimo!”
“Me ne sono accorto quando volevi addentarmi, accidenti a te! Hai spalancato le fauci che… mi si è gelato il sangue!”
“Scusami, non volevo spaventarti. E poi che succede?”
“Una volta usciti dal forno i panini sono fragranti e pronti per essere venduti e mangiati”.
“E invece a te che cosa è successo?” 
“Veramente non lo so bene neppure io.”
“Ma anche tu sei stato fabbricato come gli altri?”
“Sì, anch’io, però a me è stato fatto anche … il cuore.”
“Un cuore vero? Come il mio?”
“Sì, e credo di avere capito il perché. Un giorno il capo della fabbrica, il signor Beppe, ha deciso di fare qualcosa di diverso ed ha inventato il pane all’uovo. Era una cosa nuova, ma è subito piaciuta tantissimo. Io credo che mi sia cresciuto il cuoricino di un pulcino quando ero nel forno, forse per il calore, un po’ come è successo a te quando eri nella pancia della tua mamma. Così mentre cuocevo ho sentito la crosta indurirsi e qualcosa battermi nel petto, ho aperto gli occhi, ho mosso le braccia ed ho scoperto di poter parlare. O forse è stata una magia del signor Beppe, però lui non sa niente di me perché io ho fatto finta di essere un panino come gli altri fino a quando non sono approdato sulla tua tavola.”
“Be’ adesso non devi più avere paura di niente. Sei mio amico ed io ti difenderò. Non hai un nome?”
“No.”
“Allora ascolta, io mi chiamo Matteo, ma tutti mi chiamano Teo. Tu potresti essere la mia metà e chiamarti Mat.”
“Ok. Sono Mat. E insieme saremo Mat & Teo. Che coppia, ragazzi!”
Teo prese Mat e lo portò a fare la conoscenza della Tata. La Tata, che era una donna aperta alle novità, non fu per niente meravigliata. Salutò calorosamente Mat e poi gli disse di controllare che Teo facesse i compiti fino all’ultimo. Anche la mamma ed il papà furono molto felici di conoscere il nuovo amico di Teo e gli prepararono un letto confortevole sul comodino del loro bambino.
Il giorno seguente Teo portò Mat con sé a scuola e tutti lo accolsero con gioia. Mat divenne la mascotte della classe. I bambini incuriositi dalla storia di Mat e del panificio, chiesero alla maestra di telefonare al signor Beppe per domandare se potevano vedere come veniva prodotto il pane. Questi fu ben lieto di accontentarli e la settimana successiva un grosso pullman accompagnò trenta diligenti scolari (e maestra) muniti di quaderno e penna per prendere appunti su ciò che veniva mostrato e spiegato loro dalla signorina Paoletta, una ricercatrice che sapeva un sacco di cose sull’alimentazione ma che, nonostante avesse tanto studiato, era una ragazza semplice ed amava i bambini.
Quando il signor Beppe conobbe Mat fu un po’ meravigliato, ma il suo sorriso sornione lasciava intendere che era consapevole di avere un piccolo potere magico. La visita alla fabbrica fu molto interessante e sia i bambini che la maestra andarono via soddisfatti invitando la signorina Paoletta a tenere una lezione sugli alimenti nella loro scuola. Da quando c’era Mat tutti i bambini andavano a scuola molto più volentieri ed erano quasi dispiaciuti che fosse chiusa il sabato e la domenica. Tranne, naturalmente, Teo che portava Mat sempre con sé. E qualche settimana dopo, quando Teo, la mamma ed il papà andarono a Londra, un passeggero in più salì a bordo dell’aereo.


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